“Peluffo: ‘Pronti ad attrarre investimenti cinesi, Expo partita fondamentale'”

(da CINAFORUM.NET)

L’onorevole Vinicio Peluffo è presidente dell’Associazione parlamentare “Amici della Cina”. Ed è anche deputato di quel Partito Democratico renziano che negli ultimi mesi (in tandem col Business forum guidato, per la parte italiana, da Confindustria e Ice) si è speso per attirare gli investitori cinesi in Italia e per rafforzare il rapporto politico tra i due governi. Col parlamentare del PD – impegnato in questi giorni negli incontri, romani e milanesi, tra la delegazione della Repubblica popolare, guidata dal premier Li Keqiang, e politici e imprenditori italiani – abbiamo discusso delle possibili evoluzioni del rapporto tra i due paesi.

Onorevole Peluffo, la relazione economica tra Italia e Cina si è intensificata negli ultimi mesi, dopo che – all’inizio della crisi – sembrava che Pechino non si fidasse della tenuta del nostro paese. Cosa è cambiato negli ultimi tempi? Quali strumenti avete utilizzato e quali fattori hanno contato in questa rinnovata fiducia da parte cinese?

L’Italia ha il segno meno dal 2011; la legge di stabilità presentata in questi giorni è forse la più ambiziosa della storia repubblicana, ma il momento lo reclama. Dopo due governi (Monti e Letta) che hanno contribuito a rimettere in sesto i conti disastrosi lasciati in eredità dal decennio precedente, l’esecutivo Renzi mostra di adottare quella politica attiva che sinora è mancata. I provvedimenti presentati sinora si ripropongono di invertire la tendenza, superando modelli politici ed economici non più adeguati alle necessità dei tempi. Esiste una strada, sia pur stretta, in cui si può unire il rispetto dei vincoli europei – il che è sempre una garanzia agli occhi degli investitori esteri – a una politica orientata alla crescita: la via è quella di riforme strutturali serie, sistematiche e lungimiranti, che gettino le basi per un aumento dell’occupazione e, di conseguenza, della crescita, perché senza crescita non c’è riduzione del debito.

Quali settori dell’economia italiana potranno – nei prossimi anni – trarre i maggiori benefici dalle progressive aperture dei mercati cinesi e dall’amicizia tra i due governi?

Innanzitutto bisogna ricordare che l’accordo annunciato in questi giorni è solo l’ultimo momento di un lungo percorso di avvicinamento che ha visto come importante tappa intermedia la visita di Matteo Renzi a Pechino e il contestuale memorandum di intesa tra il nostro Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero del Commercio cinese. Il governo italiano ha le idee chiare e l’obiettivo principale dell’azione dell’esecutivo in materia di commercio estero è la lotta al disavanzo. Gli ambiti d’azione prioritaria individuati in occasione della firma del memorandum sono: ambiente ed energie rinnovabili, sanità e servizi sanitari, agricoltura e sicurezza alimentare, urbanizzazione sostenibile, aviazione e aerospazio, tutti settori nei quali il colossale mercato orientale esprime una forte domanda di beni e tecnologie di alto livello a cui il sistema produttivo del nostro Paese è in grado di offrire soluzioni.

L’Italia in Cina rispetto all’altro grande paese manifatturiero dell’Europa (la Germania) ha un ritardo trentennale. Si dice sempre – forse giustamente – che non sappiamo “fare sistema”, il che nell’approccio a un mercato immenso come quello cinese è fortemente penalizzante. Cosa si può fare ora e cosa può fare la politica per cercare di ridurre questo gap?

L’Italia è l’ultima fermata del tour europeo del premier cinese; le altre sono state Germania e Russia: significa quindi che siamo già nelle prime posizioni. Negli ultimi anni l’Italia ha fatto molto per recuperare terreno, confermandosi come una delle priorità di Pechino in materia di accordi di collaborazione bilaterale e investimenti diretti. Il dialogo ormai è permanente: dall’inizio dell’anno si sono tenuti ben tre incontri bilaterali di governo su temi economici, è stato creato un Business forum tra Italia e Cina e, nei numerosi accordi siglati​, sono state chiaramente individuate le macro aree critiche per lo sviluppo cinese a cui l’Italia è in grado di fornire risposte. I dati ci confortano: l’interscambio tra i due Paesi da gennaio ad agosto ha registrato una crescita a doppia cifra, l’11% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Il prossimo asso che il nostro Paese potrà e dovrà giocare con accortezza è l’Expo 2015, evento nel quale la presenza cinese sarà fondamentale.

Non c’è il rischio – nella condizione di profonda crisi in cui versano interi comparti dell’economia italiana – che interi pezzi vengano svenduti a chi – come gli investitori cinesi, hanno grossi capitali cash? Cosa può fare un governo per evitare un’eventualità di questo tipo e che nei confronti di Pechino si instauri un rapporto di sudditanza economica e politica, e non di reciproca collaborazione?

Gli europei devono convincersi che l’obiettivo della Cina non è certo quello di conquistare e inglobare il mercato di tutti i Paesi stranieri. Alla Cina non serve un’Europa debole: il dialogo bilaterale di questi mesi ce l’ha ampiamente dimostrato. Pechino punta ad attrarre investimenti europei, se possibile creando competizione tra i Paesi dell’Unione. L’Italia quindi non deve aver paura degli investimenti stranieri, anzi quello che è mancato in questi anni è proprio la capacità di attrazione che abbiamo perso a favore dei nostri competitori europei. Gli investimenti stranieri devono essere favoriti e accompagnati in un quadro di regolamentazione ancora più attento e preciso, correggendo le anomalie presenti, ma sicuramente non temuti.

di Alessandra Cappelletti