L’onorevole “amico” della Cina

(dal mensile CINA IN ITALIA)

Il presidente dell’Associazione parlamentare Amici della Cina, Vinicio Peluffo, fa il punto sulle relazioni tra i due Paesi: «Rinsaldato un rapporto di antica data, l’Italia sta recuperando terreno»

 

L’Associazione parlamentare Amici della Cina è la più antica delle associazioni di amicizia di iniziativa parlamentare ed è quella che conta maggiori adesioni. Fondata nel 1970 da Vittorino Colombo, ha avuto un ruolo importante nella nascita delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina, come testimonia il carteggio intercorso all’epoca tra le autorità italiane e le autorità cinesi e raccolto in un volume pubblicato nel 2010. Da allora, si è costituita in ogni legislatura e oggi raccoglie oltre 170 parlamentari ed ex parlamentari, che continuano a collaborare con l’Associazione, garantendo continuità nelle sue attività. A presiederli il deputato del Partito democratico, Vinicio Peluffo, entrato a farne parte nella scorsa legislatura.

Come si è avvicinato all’Associazione parlamentare Amici della Cina?

«Quando sono stato eletto in Parlamento nella scorsa legislatura ho aderito all’associazione, ho partecipato ad incontri con le delegazioni cinesi arrivate in Italia e ho fatto parte anche delle delegazioni dell’associazione in Cina. In questa legislatura, è sembrata una scelta abbastanza naturale quella di individuare come presidente un parlamentare rieletto che avesse già svolto attività nell’associazione. È particolarmente interessante sottolineare che, oltre ad essere l’associazione più antica e più numerosa, in questa legislatura ha tra i suoi associati molti parlamentari di prima nomina e parlamentari giovani, a dimostrazione del grande interesse del Parlamento italiano nei confronti della Cina».

Un interesse diventato particolarmente evidente in questi ultimi mesi, prima con la visita del premier Matteo Renzi in Cina e poi con quella del premier Li Keqiang in Italia. Si può dire che c’è stato un cambio di passo nei rapporti tra Italia e Cina?

«Sicuramente queste due visite hanno rappresentato il punto più alto di un lavoro condotto nel corso dei mesi precedenti, scandito da alcuni passaggi fondamentali come l’istituzione nel gennaio 2014 del Business Forum. Le visite dei due presidenti del Consiglio non solo hanno consolidato questo lavoro, ma hanno dato lo slancio necessario a rinsaldare un rapporto di antica data, che in questo momento ha bisogno del massimo dell’energia e degli sforzi. Un’energia che è stata impressa dal premier Matteo Renzi con la sua visita in Cina e che è stata confermata nel corso della visita del premier Li Keqiang. Quest’ultimo ha dimostrato un’attenzione particolare nei confronti dell’Italia. Non solo è arrivato prima del vertice Asem di Milano per siglare importanti contratti a Roma, ma ha anche partecipato con Renzi ad un incontro sull’innovazione tecnologica al Politecnico di Milano insieme a Renzi».

Sulla base di questa rafforzata cooperazione, l’Italia riuscirà a recuperare il ritardo che ha accumulato in questi anni nei confronti della Cina rispetto ad altri Paesi europei?

«Altri Paesi europei si sono mossi da tempo con il complesso del sistema Paese, fatto da presenze governative, istituti di promozione dell’economia all’estero e grandi aziende. L’Italia ha un sistema Paese diverso e non ha a disposizione le stesse risorse in termini di promozione all’estero. Inoltre, nel corso degli anni, si è ridotto il numero delle grandi imprese. Da questo punto di vista, quindi, Francia e Germania sono partite qualche metro più avanti rispetto a noi, ma credo che siamo riusciti a recuperare grazie all’impegno del governo, alla straordinaria capacità delle piccole e medie imprese e all’attività dei distretti italiani, che sono riusciti a costruire una loro presenza in Cina».

L’Italia su cosa deve puntare per recuperare terreno?

«Penso ci siano alcuni ambiti in cui è possibile rafforzare ulteriormente la cooperazione tra Italia e Cina. Il primo riguarda il brand del made in Italy, verso il quale c’è grandissima attenzione in Cina, per la qualità e per ciò che evoca. Su questo fronte si è fatto un deciso passo in avanti con i contratti che sono stati siglati e credo sia un terreno che possa dare importanti soddisfazioni sia sul versante italiano che su quello cinese.

Un altro ambito è quello dell’energia. L’Italia in questi anni ha investito molto sul versante delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, è un passo avanti rispetto agli altri Paesi, quindi può offrire molto alla Cina, Paese dove c’è fame di energia per sostenere lo sviluppo economico, ma c’è anche fame di tecnologie che abbiano un impatto ambientale del tutto diverso, che coniughino sviluppo e sostenibilità. Anche su questo fronte, quindi, l’interesse è reciproco.

C’è, poi, il versante della cooperazione in ambito culturale, che ha sempre costituito un terreno di grande sintonia. La cultura deve diventare un volano a sostegno dello sviluppo. Su questo aspetto c’è una nuova consapevolezza ed è un terreno su cui il rapporto con la Cina è privilegiato rispetto ad altri Paesi».

Ha messo l’accento sul fatto che gli interessi sono reciproci. Quali sono i vantaggi che Italia e Cina possono trarre dalle loro relazioni?

«In Cina, a fronte dello sviluppo economico, si è andata consolidando una classe media che rappresenta un’indubbia novità da due punti di vista, da una parte per la velocità con cui si è consolidato questo segmento della società cinese, dall’altra per la sua capacità di spesa. È un ceto medio che guarda al made in Italy con grande interesse, quindi per l’Italia rappresenta un mercato significativo che non ha eguali, cerca qualità ed esclusività, elementi che contraddistinguono i prodotti italiani. Da parte cinese, c’è un grande interesse a interloquire con un Paese che è parte dell’Unione europea fin dalla sua nascita, che ha un ruolo in Europa, che ha attenzione alla cooperazione con i Paesi asiatici e che dispone di esperienze e tecnologie in settori fondamentali per le sfide che in questo momento la Cina ha di fronte».

In questo quadro di rafforzamento dei rapporti Italia-Cina, che ruolo gioca l’Expo 2015?

«La Cina è il Paese che più di ogni altro ha creduto nell’Expo di Milano. Da subito ha scelto di avere un padiglione nazionale e un padiglione per le sue aziende, quindi ha investito molto sull’Expo e si è impegnato per garantire una presenza di turisti cinesi davvero significativa, visto che parliamo di oltre un milione di turisti. Da questo punto di vista, quindi, l’Expo rappresenta una straordinaria occasione per la Cina di farsi conoscere in Italia e per l’Italia di rafforzare un rapporto esistente, valorizzando non solo i rapporti tra i due Stati, ma anche i rapporti con le comunità cinesi presenti in Italia».

Nonostante le opportunità che la Cina può offrire all’Italia, c’è chi continua a guardare con diffidenza gli investimenti cinesi in Italia. Come fugare i timori in questo senso?

«In Italia si è parlato a lungo della necessità per il nostro sistema economico di recuperare una capacità attrattiva rispetto a investimenti stranieri. Si tratta di una capacità che caratterizza gli altri competitori europei e non può mancare come elemento di sviluppo di un’economia avanzata come la nostra. La qualità degli investimenti va giudicata rispetto alla serietà degli stessi. Devono essere investimenti che abbiano un respiro temporale di medio-lungo termine e che consentano la crescita ulteriore, dal punto di vista dimensionale e qualitativo, delle aziende rispetto alle quali vengono fatti. La gran parte degli investimenti cinesi in Italia ha questa caratteristica, quindi credo che debbano essere guardati con grande attenzione e con uno spirito positivo».