Il mio discorso per il 45° delle relazioni diplomatiche Italia-Cina

Questo il mio intervento,  in qualità di presidente dell’Associazione parlamentare di Amicizia Italia-Cina, al seminario “Celebrare il passato, preparare il futuro” tenutosi a Palazzo Giustiniani in occasione del 45° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina, alla presenza tra gli altri del presidente del Senato Pietro Grasso e dell’ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese, Li Ruiyu:

‘L’Associazione parlamentare di Amicizia Italia-Cina venne fondata nel 1970 dal Sen. Vittorino Colombo: da allora, si è costituita in ogni legislatura, ed è la più antica tra le associazioni di amicizia di iniziativa parlamentare ed è quella che al giorno d’oggi conta i maggior numero di aderenti: raccoglie infatti oltre 220 tra parlamentari ed ex parlamentari, che continuano a collaborare con l’Associazione, garantendo continuità nelle sue attività. L’Associazione ha avuto all’atto della sua fondazione un ruolo importante nel ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina, come abbiamo voluto ricordare con un volume pubblicato dal Senato che testimonia il carteggio intercorso all’epoca tra le autorità italiane e le autorità cinesi. Vittorino Colombo era stato un lungimirante pioniere dei rapporti bilaterali, presiedendo l’Istituto Italo Cinese per gli Scambi Economici e Culturali e la Camera di Commercio Italiana in Cina, ma ancor di più instaurando rapporti con i massimi dirigenti della Repubblica Popolare Cinese, con lo stesso Deng Xiaoping, che avviò il suo Paese alla “riforma dell’apertura”, all’inizio della modernizzazione di uno Stato che oggi possiamo definire un “Paese indispensabile”. L’Italia e la Cina nell’attuale contesto geopolitico Ci sono ormai diversi indicatori che confermano la tesi dell’ex Commissario Europeo al Commercio, Karel De Gucht, secondo cui “l’ascesa della Cina costituisce il più significativo evento economico dei nostri tempi”. Parlando di questa crescita vorrei fare però una precisazione: non si tratta propriamente di un’ascesa, ma di un ritorno ad una precedente posizione internazionale. La Cina, o “Terra di mezzo” (come gli stessi cinesi chiamano il loro Paese), si è considerata ed ha conseguentemente agito, per millenni, al centro del mondo, ed ha dovuto mettere 2 da parte, per la presenza e pressione straniera, questa visione “sinocentrica” soltanto nel periodo intercorso tra la seconda metà del XIX secolo e la seconda metà del XX secolo. In un contesto storico in cui si parla sempre più spesso di “Secolo del Pacifico”, la Cina si trova pertanto, oggi, a riassumere una posizione di protagonista degli affari mondiali. Il baricentro del mondo si è progressivamente spostato verso l’Estremo Oriente, che si manifesta sempre di più come un’area di effervescenza dal punto di vista dello sviluppo economico e del commercio internazionale. Al centro di questa area, la Cina primeggia. Il tasso di crescita registrato dalla Repubblica Popolare Cinese continua ad assestarsi su livelli inimmaginabili in Europa o negli Stati Uniti. Nonostante i recenti segnali di rallentamento, e il fatto che la crisi economica mondiale si sia ripercossa anche su quella cinese, il tasso di crescita continua ad aggirarsi intorno al 7,5%. Non esito pertanto a dire che la Cina sta diventando il centro gravitazionale degli equilibri politici, economici e finanziari, nel cuore di quella che, a detta di molti, sarà la regione più importante del nostro secolo: l’Asia e il Pacifico. A questa transizione di ampia portata dal punto di vista geopolitico, se ne affianca una di natura prettamente politica. Il XVIII Congresso del Partito Comunista aveva avviato, nel novembre 2012, una transizione fra la quarta e la quinta generazione della leadership cinese, che, nel marzo 2013, si era completata con gli avvicendamenti ai massimi livelli del Partito e ai gradi apicali dello Stato. La transizione si è svolta in modo ordinato ed ha dato luogo ad un ricambio generazionale comunque ispirato al principio di gestione collettiva del potere. Da parte sua, la nuova dirigenza cinese si sta sforzando di assecondare la necessità imperativa del cambiamento del modello di sviluppo, passando da un sistema in cui la crescita è prevalentemente alimentata dalle esportazioni, a uno in cui essa può beneficiare dell’espansione del consumo nazionale. A questo sforzo, i vertici della RPC si stanno impegnando per favorire: 1) una più sostenibile distribuzione della ricchezza; 2) il contenimento della corruzione. 3 La transizione cinese è avvenuta in un momento in cui l’ascesa internazionale richiede alla Cina l’assunzione di crescenti responsabilità di natura globale, e l’accantonamento di alcuni principi che hanno sinora animato la sua azione esterna: come quello del “nascondere le proprie capacità e attendere il proprio momento”. A fronte delle aspettative di gran parte della comunità internazionale, circa un ruolo più attivo della Cina nel contribuire ad affrontare le sfide globali (come ambiente, energia e lotta al terrorismo) e le crisi regionali, la Cina deve far fronte a tre criticità: rassicurare i Paesi della regione circa le proprie intenzioni strategiche; trovare un equilibrio nel rapporto con gli Stati Uniti, anche alla luce del “pivot to Asia” americano; e sviluppare un proprio “soft power”, potenziando l’immagine del Paese all’estero. Queste sono le sfide che la nuova dirigenza cinese ha intrapreso, sia all’interno del Paese sia nell’ambiente internazionale. Sono sfide colossali che Pechino affronta seguendo una linea di pensiero e di azione “con caratteristiche cinesi”, sicuramente promotrice di un processo di riforma, che verrà avviato secondo tempi dettati dalle esigenze interne della Cina stessa (anche se ciò talvolta rischia di scontrarsi con una certa impazienza occidentale). L’adeguata comprensione di tale scenario e di tali esigenze contribuisce a porre le basi per un rapporto di fiducia reciproca con la Cina. E’ quello che – ad esempio – ha fatto l’Italia negli ultimi anni. Sul piano del rapporto bilaterale, in linea con un approccio tradizionale, fondato sulla ricerca della comprensione reciproca, l’Italia ha sviluppato un solido e regolare dialogo con la Cina. Ciò è stato fatto tenendo a mente la massima di Matteo Ricci “comprendere prima di giudicare”, ricordata anche dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante la sua storica visita in Cina nell’ottobre 2010. Ritengo che, nel relazionarsi con Pechino, il dialogo politico sia il presupposto anche del rapporto economico, poiché permette di individuare le priorità e le opportunità in questo campo. La Cina non deve essere vista solo come un fondamentale partner economico, ma gradualmente deve diventare anche un alleato sulle maggiori tematiche internazionali dove i nostri interessi sono convergenti (lotta alla pirateria; contrasto al terrorismo; sviluppo dell’aerea mediterranea e africana; visione comune sulla riforma delle Nazioni Unite). 4 Le visite istituzionali italiane in Cina e cinesi in Italia, che si sono avute nel corso degli ultimi tre anni, testimoniano di questo interesse reciproco a rinsaldare ulteriormente il rapporto bilaterale che dal 2004 abbiamo definito di “partenariato strategico”. Ma è ormai indispensabile un “salto di qualità” nelle relazioni bilaterali, sia facendo tesoro dei traguardi raggiunti nel campo dell’interscambio commerciale, sia promuovendo, da un lato, un’ulteriore integrazione economica alimentata da un flusso bidirezionale di investimenti, e, dall’altro, un più solido dialogo politico. Il fitto scambio di partenariati territoriali, di scambi commerciali, turistici e culturali sta contribuendo a estendere progressivamente la complessiva “superficie di contatto” tra Italia e Cina, e ciò a cominciare dai rapporti “people-to-people”- che i nostri amici cinesi definiscono come “scambi umanistici”. Avendo ciò a mente, l’Italia ha negli ultimi anni dato priorità all’azione di attrazione in Italia di studenti, imprenditori e turisti cinesi. Cito solo un numero: nel corso del 2014 la rete consolare italiana in Cina ha emesso più di 400.000 visti (erano solo 100.000 nel 2010) collocando l’Italia al primo posto tra i Paesi dell’Unione Europea in termine di visti rilasciati in Cina. Tale politica ha favorito il miglioramento dello standing dell’Italia quale Paese di destinazione del turismo cinese, e ha permesso agli atenei italiani di ricevere un numero crescente di studenti cinesi. Anche dal mondo cinese degli affari sono giunti riscontri molto positivi. La Cina è già il terzo partner commerciale dell’Italia. Al solido interscambio commerciale, che l’Italia è impegnata a riequilibrare, è stata affiancata una politica di attrazione degli investitori cinesi e un crescente coordinamento del sistema economico italiano in Cina. Il mercato cinese richiede infatti alle imprese italiane una presenza attiva nel territorio e la dimostrazione dell’affidabilità della struttura organizzativa. Le aziende italiane scontano ancora difficoltà legate a un approccio al Paese a volte poco sistematico, cui si cumulano difficoltà specifiche locali come quelle legate a un sistema giuridico ancora non pienamente efficiente, anche sul sensibile fronte della tutela della proprietà intellettuale. 5 La Cina costituisce un importante approdo per i prodotti italiani: è il primo mercato per quasi tutti i comparti delle tecnologie della produzione; lo sarà sempre di più anche per i beni di consumo, che fanno ancora registrare consistenti tassi di crescita. Gli sforzi del nostro sistema promozionale sono oggi rivolti, tra l’altro, a far comprendere che siamo anche paese di tecnologie, e che il nostro patrimonio industriale è il frutto di un processo avviato a partire dal secolo scorso, e dispone di una storia e di un DNA radicati nella nostra cultura. Da un punto di vista settoriale la nuova fase di sviluppo dell’industria cinese, mirando alla razionalizzazione e all’ammodernamento produttivo dei comparti tradizionali, offre profili di forte complementarietà alla proposta tecnologica italiana, con la possibilità di più strette partnership tra aziende italiane e cinesi, che possono rivelarsi strategiche per importanti settori produttivi del nostro Paese. L’Italia appare per i capitali cinesi un terreno interessante per acquisizioni di aziende che portano in dote contenuti tecnologici avanzati, brand originali, management capaci. Per converso, in Italia, la logistica e le infrastrutture sono settori importanti per un possibile coinvolgimento cinese. Per favorire questa dinamica occorre approntare uno schema operativo capace di attuare una costante azione di individuazione e assistenza agli investitori cinesi interessati al nostro Paese. Quanto ho detto sinora sottolinea il fatto che, nei rapporti con la Cina, si è aperta una nuova finestra di opportunità per l’Italia: un treno che, a mio avviso, questa volta, – a differenza del passato – non possiamo permetterci di perdere. E’ una sfida che deve tener conto della grande competizione sul mercato locale e della circostanza che i maggiori margini di profitto si raccolgono oggi non più a Pechino, Shanghai e Canton, o comunque nelle provincie costiere, bensì nelle aree interne, in ossequio alla politica, ribadita dal Dodicesimo Piano Quinquennale, del cosiddetto “Go West”, come pure nelle città di terza e quarta fascia. E’ una tendenza che le istituzioni italiane hanno assecondato con apertura di un Consolato Generale anche a Chongqing, municipalità autonoma del sudovest della Cina di 30 milioni di abitanti, fulcro delle attività economiche di quella regione. Lo stretto rapporto economico-commerciale non può prescindere dal dialogo culturale. 6 In questo campo l’Italia ha un forte vantaggio comparativo. Gli italiani sono, agli occhi dei cinesi, i detentori e gli interpreti di una civiltà e di una cultura millenarie in grado di rivaleggiare, per antichità, continuità storica, sofisticatezza e ricchezza, a quella dell’Impero Cinese. Signore e Signori, dobbiamo purtroppo osservare che non sempre l’Italia ha saputo mettere a profitto tutte le occasioni che i cinesi ci hanno offerto per porci in prima fila tra i partner privilegiati e metterci in condizione di trarre il massimo beneficio possibile dal ritorno della Cina a un ruolo di primo piano sulla scena internazionale. Il treno delle opportunità per l’Italia in Cina continua a passare. La Cina continua infatti a cercare con insistenza l’Italia per la istintiva simpatia e affinità che i cinesi nutrono per gli italiani e per il fatto di vederci come i rappresentanti di una civiltà a cui essi attribuiscono elevata dignità e valenza storico-culturale. Tuttavia nel mondo dell’economia globalizzata, l’Italia è in una sempre più serrata concorrenza con gli altri Paesi e, sul treno delle opportunità cinesi, sono in tanti a – perdonatemi l’immagine – “sgomitare” per assicurarsi un posto in prima classe e non solo uno strapuntino. Non possiamo permetterci battute a vuoto nel rapporto con Pechino, pena un progressivo arretramento della considerazione di quella che è destinata ad essere, nel giro di un decennio, la prima economia mondiale’.