Il mio intervento al seminario “La Cina all’indomani del congresso” presso il gruppo Pd alla Camera
Il pensiero di Xi e il ruolo di potenza globale
Il XIX Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese, tenutosi a Pechino tra il 18 e il 24 ottobre, si è concluso con alcune importanti conferme e altrettanto importanti novità. Si è trattato, a conti fatti, di un passaggio nodale per il futuro della Repubblica Popolare.
Il Congresso è stato l’occasione per fare il punto sui risultati raggiunti negli ultimi cinque anni e ha contribuito a delineare i programmi del PCC per il futuro.
Il Presidente Xi Jinping è stato riconfermato anche nel ruolo di Segretario Generale che già ricopriva da un quinquennio, e ha dato numerose indicazioni sulla parabola politico-economica che il Paese percorrerà nei prossimi trent’anni.
L’ultimo giorno del Congresso è stata votata la composizione del Comitato centrale, eletto da circa 2.280 delegati. L’elezione dei vertici del Partito e dell’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) ha visto un deciso rinnovamento, frutto sia del ricambio generazionale, sia della dura lotta alla corruzione, che ha permesso negli ultimi cinque anni di sgominare l’immoralità nel Partito e nelle forze armate, che hanno subìto un grande rimpasto ai vertici.
La nuova composizione degli organismi politici era considerata necessaria per adottare le riforme che Xi considera opportune e sciogliere i molti dei nodi economici e sociali del paese, iniziando dalla riduzione della forbice tra i ceti benestanti, normalmente urbanizzati e legati al perdurante “miracolo economico”, e quelli meno abbienti, tipicamente periferici e rurali. I dettagli di questa strategia si andranno chiarendo nei prossimi mesi.
Non scopriamo oggi che la Cina è una realtà complessa e multiforme: troppo complessa per essere abbandonata a se stessa, senza la guida di un pensiero e di una leadership forte, e troppo multiforme perché questa guida non sia collegiale. L’equilibrio espresso dal congresso è stato definito da qualcuno “il miracolo di Xi”.
Per definire il contesto occorre fare un passo indietro: il XVIII Congresso del Partito Comunista aveva avviato, nel novembre 2012, una transizione fra la quarta e la quinta generazione della leadership cinese, che, nel marzo 2013, si era completata con gli avvicendamenti ai massimi livelli del Partito e ai gradi apicali dello Stato. La transizione si era svolta in modo ordinato dando luogo a un ricambio generazionale comunque ispirato al principio di gestione collettiva del potere.
Da parte sua, la nuova dirigenza cinese si è sinora sforzata di assecondare la necessità imperativa del cambiamento del modello di sviluppo, passando da un sistema in cui la crescita è prevalentemente alimentata dalle esportazioni, a uno in cui essa può beneficiare dell’espansione del consumo nazionale.
La transizione cinese è avvenuta in un momento in cui l’ascesa internazionale richiedeva e richiede alla Cina l’assunzione di crescenti responsabilità di natura globale, e l’accantonamento di alcuni principi che hanno sinora animato la sua azione esterna: come quello del “nascondere le proprie capacità e attendere il proprio momento”.
A fronte delle aspettative di gran parte della comunità internazionale, circa un ruolo più attivo della Cina nel contribuire ad affrontare le sfide globali come ambiente, energia e lotta al terrorismo e le crisi regionali, la Cina deve far fronte a tre criticità: rassicurare i Paesi della regione circa le proprie intenzioni strategiche; trovare un equilibrio nel rapporto con gli Stati Uniti, anche alla luce del “pivot to Asia” americano; e sviluppare un proprio “soft power”, potenziando l’immagine del Paese all’estero.
Il ruolo di guida del Partito e, in particolare, del Segretario e Presidente, è uscito rafforzato dal congresso anche perché il pensiero di Pensiero di Xi Jinping sul “so¬cialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”, grazie a un emendamento dello Statuto del PCC, è stato formalizzato e accolto entro i limiti del patrimonio ideologico del socialismo cinese. Fino ad oggi, la carta fondamentale indicava come guida dell’azione del PCC il marxismo-leninismo, il “pensiero di Mao Zedong”, la “teoria di Deng Xiaoping”, “l’importante pensiero delle tre rappresentanze” di Jiang Zemin e la “visione di sviluppo scientifico” di Hu Jintao. Tuttavia, solo il secondo e il terzo elemento sono accompagnati dal nome del leader che li aveva formulati. Inoltre, il “pensiero” di Mao è un gradino più in alto rispetto alla “teoria” di Deng. Il contributo e il nome di Xi saranno posti a fianco di quelli già presenti nel pantheon della Cina contemporanea, ottenendo un riconoscimento che i due segretari prima di lui non hanno ricevuto.
A differenza dei suoi predecessori, l’inserimento è inoltre avvenuto non a fine mandato, ma ancora nell’esercizio delle funzioni di Presidente e Segretario del PCC. L’importanza di tale paradigma è tale da non potersi limitare ad una sterile “formalità”: al contrario, essa rappresenterà il principio guida cui dovranno rifarsi tutti i decisori pubblici ed il popolo cinese negli anni a venire.
Da un punto di vista pratico, quindi, la Cina potrà fare affidamento su una leadership ancora più forte; una leadership costruita nel corso degli anni, con il consenso, i risultati e l’esercizio concreto della collegialità, in continuità con la decisione di rafforzare il vertice del Partito stabilita nel 18° Congresso.
È così che Xi, quindi, affronterà il prossimo quinquennio, come si usa dire, “sulle spalle dei giganti”. Il paragone con Mao è forse prematuro e forse fuori luogo: il Grande Timoniere governava un Paese che aveva due terzi degli abitanti attuali; un Paese rurale e scarsamente alfabetizzato che la Rivoluzione del 1949 aveva riscattato dalla miseria, dalla prostrazione; un Paese praticamente invisibile sui radar occidentali; un Paese, sostanzialmente, che lo considerava alla stregua di un essere semidivino.
Oggi Xi guida un Partito e una nazione infinitamente più complessi; una nazione che – pure al netto delle numerosissime e inevitabili contraddizioni – si trova all’avanguardia nell’economia, nella ricerca, nella gestione del suo ruolo di potenza, ormai non solo più regionale.
Secondo uno dei documenti approvati, Xi “ha risolto molti gravi pro¬blemi da tempo in agenda che non erano mai stati risolti, raggiungen¬do molti risultati a lungo desidera¬ti ma mai centrati e dando una svolta alla causa del Partito e del Paese”.
Nella sua relazione conclusiva, il Segretario Generale ha affermato che si andrà in direzione di una maggiore apertura ai mercati economici e finanziari internazionali. Da qui l’annuncio di un’“opportunità strategica” e di una “nuova èra” per la crescita della Cina, condotta da un Partito “ancora più forte”. Il Segretario ha ricordato che oggi il popolo cinese è composto da “più di 1,3 miliardi di persone che vivono in dignità”. “Il nostro Partito – ha dichiarato – mostra una forte, ferma, vibrante leadership. Il nostro sistema socialista dimostra grande forza e vitalità. La nostra nazione abbraccia brillanti promesse.”
Lo statuto del Partito, si è dunque detto, è stato emendato e arricchito con “teorie chiave” e “pensieri strategici”. I concetti chiave del pensiero di Xi sono stati annunciati dall’agenzia Xinhua, la quale ha comunicato che lo «Xi sixiang» il “Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova èra”, si com¬pone di 14 princìpi, alcuni concreti, altri dal taglio più teorico e ideologico.
È complesso e forse velleitario in questa sede analizzare in dettaglio ciascun punto, anche perché molti dei dettagli e degli effetti si vedranno solo nei mesi o negli anni a venire; volendo però riassumere il Pensiero di Xi in blocchi teorici, ci si può rifare a una serie di grandi insiemi concettuali, che sono stati individuati come tali dagli analisti internazionali.
In cima ai pensieri di Xi troviamo il sostanziale abbandono della strategia del “mantieni un profilo basso e cresci nell’oscurità” promossa da Deng, per rendere la Repubblica Popolare consapevole del suo ruolo a livello internazionale e, contemporaneamente, attrezzata per prevenire situazioni di tensione e l’insorgere di problemi.
Ora la Cina possiede invece tutte le carte per giocare il suo ruolo da grande potenza, e può tornare a farlo a viso aperto: Xi, per questo, ha parlato di “realizzare il sogno del grande risorgimento della nazione cinese”, inteso come ritorno della Cina ai fasti del passato, al fine di occupare nuovamente un ruolo di grande potenza dopo esser stata soggiogata da paesi stranieri nel XIX e XX secolo. È questo il proposito cui Xi aveva dedicato uno dei suoi primi discorsi da presidente, nel 2012.
Il risorgimento cinese è cadenzato con precisione, e marcato da almeno un due importanti ricorrenze secolari. La prima riguarda i cento anni dalla fondazione del PCC, nel 2021, entro il quale la Cina dovrebbe “diventare moderatamente prospera”; ma la visione di Xi si spinge ben oltre la fine del suo mandato, sino al 2049, centenario della fondazione della Repubblica Popolare, che per quella data dovrebbe diventare “prospera, forte, democratica, culturalmente avanzata e armoniosa”.
Un altro elemento del pensiero di Xi è la strategia dei “quattro comprensivi”: obiettivi ritenuti fondamentali e basilari, il cui approccio può avvenire esclusivamente in maniera appunto “comprensiva”, cioè dal punto della sommatoria funzionale delle parti, e non affrontandone i singoli elementi individualmente. Parliamo quindi dello sviluppo – come si è detto – di una società “moderatamente prospera”, dell’approfondimento delle riforme, di governare in accordo con lo stato di diritto e di guidare il Partito in maniera “forte”.
Il terzo è rappresentato dalle “quattro fiducie in se stessi”: un invito diretto ai membri del Partito a credere nel percorso, nelle teorie, nei sistemi e nella cultura del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Secondo questo assunto, la Cina non può, non vuole e non deve ispirarsi ad altri modelli politici ed economici quali quelli occidentali, ma preservare il suo sistema.
Infine, vi sono i “quattro grandi” che aspettano al varco il colosso asiatico: “affrontare grandi sfide, sviluppare grandi progetti, promuovere grandi cause e realizzare grandi sogni”. Questo concetto era già agitato dalla dirigenza cinese anche negli anni precedenti all’avvento di Xi, ma è generalmente riconosciuto come l’elemento più innovativo del suo pensiero.
In tale contesto possiamo senz’altro inserire lo sviluppo del “nuovo modello di relazioni tra grande potenze”, prospettato agli USA già due anni dopo il precedente Congresso, e la Belt and Road Initiative (Bri), un progetto innovativo ispirato alle rotte commerciali che anticamente univano Oriente e Occidente.
A questo proposito, mi piace ricordare che già da tempo il Governo cinese e quello italiano sono impegnati nella costruzione di una piattaforma di dialogo permanente tra i settori della cultura, dell’arte e delle industrie creative dei due Paesi, quale contributo all’edificazione congiunta di una “nuova via della seta” della conoscenza, della cultura e dello sviluppo sostenibile.
Altre idee di Xi Jinping sono state inserite nello Statuto del Partito, tra le altre ricordiamo la menzione del “sogno cinese di ringiovanimento della nazione”, il predominio assoluto del Partito sulle forze armate, che saranno oggetto di ammodernamento, allo scopo di diventare un “esercito di livello mondiale” al servizio del “grande sogno”.
Gli elementi che compongono teoria e prassi di Xi sono quindi fortemente influenzati da alcune dinamiche già presenti prima del 2012 che però con lui sono diventate centrali, arrivando a essere formalizzate nel pensiero teorico ufficiale e a indirizzare i programmi del Paese almeno per i prossimi trent’anni.
Nel pensiero e nelle parole del Presidente, la Repubblica Popolare deve “restare fedele all’aspirazione originale e continui ad andare avanti”. Ciò consiste nel preservare la centralità del PCC mediante l’accentramento del processo decisionale nel Partito e nell’EPL e, allo stesso tempo, trasformare il Paese in una potenza economica e militare cercando di rivitalizzare il sentimento di appartenenza nazionale e completando la politica di riforme avviata nel 1978.
Potremmo quindi riassumere sinteticamente questo scenario con uno slogan: “guardare al futuro senza dimenticare il passato” ovvero, modernizzarsi senza occidentalizzarsi, anzi, diventare un modello al quale ispirarsi.
In sintesi, la Repubblica Popolare proseguirà sul cammino intrapreso che ha segnato gli ultimi quattro lustri, a partire dagli ultimi anni dell’èra Deng: il socialismo di mercato con caratteristiche cinesi. La strategia diplomatica, economico-finanziaria e militare verrà quindi declinata in base ai bisogni interni e agli sviluppi nello scenario mondiale, soprattutto in funzione delle mosse degli USA nel problematico scenario che si va delineando sul Pacifico.
Il secondo mandato di Xi nasce su premesse teoriche, ma anche su basi di consenso popolare e di potere sostanziale, solidissime sulle quali la leadership cinese dovrà costruire risposte politiche concrete ai bisogni di una società in profondo mutamento, anche tecnologico, ai rischi di un’economia segnata da alcuni evidenti squilibri e alle crescenti aspettative per un ruolo internazionale commisurato alla potenza raggiunta.