Inglese, documentari e più film europei: la Rai verso il nuovo contratto
Abbiamo consultato il testo del documento votato dalla commissione di vigilanza prima di Natale e spedito al governo, che lo ha licenziato lo scorso 22 dicembre: per il direttore generale della Rai, Mario Orfeo, il nuovo schema garantirà “internazionalizzazione, maggiore accessibilità, riorganizzazione, alfabetizzazione digitale e risorse certe per il futuro”, come ha dichiarato ai microfoni dell’emittente di Stato.
Si procederà, quindi, con la consueta assegnazione annuale.
Entra nell’offerta di viale Mazzini il progetto di un “canale in lingua inglese di carattere informativo, di promozione dei valori e della cultura italiana”. L’idea è che la Rai realizzi prodotti ad hoc e doppi film, documentari e servizi giornalistici “per valorizzare l’identità del Paese”. Se il ministero accenderà il semaforo verde, l’emittente pubblica avrà sei mesi per andare in onda, benché la vigilanza non abbia destinato apposite risorse.
La commissione, inoltre, propone che la televisione si doti di un gruppo di lavoro dedicato “allo sviluppo del genere documentario”. “C’era l’idea di costituire una nuova direzione, ma avrebbe aumentato i costi. Si farà con le risorse interne, che già ci sono”, spiega Vinicio Peluffo, deputato del Partito democratico e componente della commissione. Inoltre l’azienda è chiamata a “valutare la possibilità di realizzare un portale online”, senza pubblicità, dedicato “esclusivamente” a bambini e adolescenti. “Ha un costo ulteriore che va visto alla luce delle compatibilità finanziarie”, aggiunge Peluffo.
Con il nuovo contratto di servizio la Rai ingoia anche il boccone amaro della riforma televisiva voluta dal ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, che impone di aumentare il numero di prodotti europei in programmazione. A settembre la tv di Stato ha siglato con le altre emittenti private la lettera di protesta al ministro, minacciando “impatti negativi a livello economico ed editoriale per tutto il sistema radiotelevisivo”.
La legge, tuttavia, è passata. La vigilanza ha immaginato uno schema graduale di applicazione. La Rai dovrebbe innalzare al53% la quota di prodotti europei nel palinsesto del 2019. La percentuale salirà al 56% nel 2020 e al 60% nel 2021. Di questi programmi, la metà deve essere italiana. Inoltre, il made in Italy deve occupare almeno il 12% della programmazione di prima serata, dalle 18 alle 23, sotto forma di film, cartoni animati, documentari e opere teatrali. Nel contratto approvato in vigilanza, la Rai dovrà spendere almeno il 15% dei suoi ricavi per acquistare o sostenere progetti europei di produttori indipendenti. Di queste risorse, il 3,6% deve andare a opere italiane, arrivando al 5% nel 2021.
La bozza di contratto sollecita la Rai alla lotta al bullismo e alla violenza contro le donne. L’azienda di stato si impegna a “non trasmettere messaggi pubblicitari discriminatori o che alimentino stereotipi di genere”.
Il nuovo accordo prevede anche una riorganizzazione aziendale. La Rai potrebbe stabilizzare il personale con contratti a termini o rapporti di collaborazione. E se si apriranno posizioni per giornalisti, la commissione di vigilanza spinge perché l’azienda peschi dalle graduatorie degli ultimi due concorsi banditi dall’azienda, nel 2013 e nel 2014. Stesso input arriva dalle legge di bilancio, da un emendamento presentato dai Pd Matteo Orfini e Sergio Boccadutri. Inoltre, per la commissione l’azienda potrà creare anche un ufficio studi “incaricato di realizzare studi e indagini inerenti l’attività dei media di servizio pubblico”.
La vigilanza vuole imporre alla Rai di completare la copertura della radio digitale in tutta Italia. La tecnologia Dab+, che migliora qualità e sintonia del segnale, dovrà raggiungere entro un anno il 60% della popolazione nazionale e il 100% nell’arco dei tre anni. Cambio in corso anche sul versante delle frequenze televisive. Viale Mazzini si prepara ad abbandonare, come tutte le altre emittenti, la frequenza dei 700 megahertz. Entro il 2022 lo spettro deve essere lasciato libero, perché alle televisioni subentreranno gli operatori di telefonia con i progetti 5g.
di Luca Zorloni