La primavera democratica.

immagine documentoCosì come nel mondo del calcio capita sempre che si scateni il putiferio quando gli allenatori tentano per la prima volta di mettere da parte i giocatori più esperti e inevitabilmente più usurati per sostituirli con quelli più giovani e inevitabilmente meno logorati, allo stesso modo nella politica succede sempre che a un certo punto della storia arriva un momento in cui i volti più esperti e i leader più rodati si sentano improvvisamente, clamorosamente e drammaticamente minacciati da tutti i più o meno fenomenali ragazzacci delle nuove generazioni che a poco a poco si fanno spazio tra i vivai, le giovanili e le primavere dei vari partiti politici.

All’inizio succede sempre che i giocatori che si ritrovano vittime di questo efferatissimo processo (che qualcuno con eleganza rinominerebbe “rotazione”, o magari “sostituzione”, e che qualcun altro con maggiore genuinità e con minor senso diplomatico definirebbe senz’altro adottando una terminologia più spietata, tipo “rottamazione”) facciano molto baccano, rivendicando la propria inestimabile esperienza, reclamando rispetto per il loro ruolo di bandiera e minacciando l’allenatore di essere pronti a fare altrove chissà quali grandi sfracelli. Poi, se le cose vanno bene, le vecchie glorie decidono spontaneamente di farsi da parte, accettando di fare il famoso “passo indietro” in nome del bene supremo della loro amata squadra; se invece le cose vanno male, le giovani promesse tornano a recitare la parte di formidabili promesse e le vecchie glorie tornano semplicemente a recitare la parte delle grandi glorie. Facile, no? Bene: per arrivare ai nostri giorni, e ancorarci un minimo alla realtà, possiamo dire che nel mondo del calcio chi si ritrova nello spiacevole ruolo di grande bandiera finita rovinosamente vittima di questo processo letale è senza dubbio il Capitano della Roma, Francesco Totti. Mentre per quanto riguarda il mondo della politica, beh, se c’è qualcuno che rischia di venire travolto dallo stesso inarrestabile vortice con cui sta facendo i conti il numero dieci giallorosso quel qualcuno è senz’altro rappresentato dal famoso gruppone di espertissimi “dirigggenti-con-cui-non-vinceremo-mai”, contro cui tempo fa già si scagliò Nanni Moretti nella memorabile invettiva piazzanavonesca e contro cui da qualche tempo si sta iniziando a muovere quella che potremmo definire la primavera democratica del centrosinistra italiano. Per chi non lo avesse ancora capito, stiamo parlando di tutti quei volti più o meno giovani del Pd che da diversi mesi sembra abbiano trovato gli stimoli giusti per dare voce alla famosa richiesta di “ricambio generazionale”. C’è chi lo fa in modo più diretto, chi in modo più sottile, chi in modo più timido, chi in modo più timoroso e chi invece il concetto lo esprime ormai da tempo “senza mezzi termini”, come si dice sempre in questi casi; e magari servendosi di una sola semplice parola: “Fuo-ri!”.

Ecco, sì: i ragazzacci di cui parliamo in questa pagina sono tutti quegli esponenti democratici che per le ragioni più varie hanno deciso di muoversi per giocarsi le loro carte e dimostrare che nel maggior partito d’opposizione esistono delle persone che sanno perfettamente che alle prossime elezioni non sarà possibile presentarsi ancora una volta con gli stessi volti, gli stessi nomi, gli stessi leader e insomma le stesse vecchie glorie che da ormai vent’anni provano senza troppa fortuna a offrire al paese un orizzonte diverso da quello proposto dal centrodestra. Chi sono questi ragazzi? Chiaro: molti nomi li conoscerete già (da Matteo Renzi a Nicola Zingaretti, da Pippo Civati a Matteo Orfini) ma quello che forse può sfuggire anche all’occhio dell’osservatore più attento è che questa primavera democratica (intesa come fosse una sorta di movimento spontaneo votato alla sostituzione, alla rotazione, alla rottamazione dei vecchi – si scherza eh – “dittatori” democratici) si presenta piena di sfumature, di differenze e persino di conflittualità che vale la pena raccontare. Naturalmente, per capire di cosa stiamo parlando non possiamo che cominciare il nostro piccolo affresco partendo da ciò che sta succedendo nel mondo di colui che nel Pd più degli altri, con le sue mosse, con le sue idee e persino con il suo lessico spregiudicato, ha contribuito non solo ad accelerare la crescita della primavera democratica ma anche a dividerla in due blocchi contrapposti: quelli che stanno con lui e quelli che invece stanno contro di lui. Lo avrete capito: proviamo subito a vedere che cosa ha in testa il sindaco di Firenze, Matteo Renzi.

Rottamatori. Finora, in effetti, Matteo Renzi è stato il più esplicito di tutti, e dopo mesi e mesi passati a declinare il senso più profondo della sua “rottamazione” alla fine ha detto quello che tutti aspettavano che dicesse da un momento all’altro: alle prossime primarie io ci sarò. Renzi lo ha detto quattro giorni fa a Repubblica (curiosità: lo stesso giornale con cui un anno fa parlò per la prima volta di rottamazione) e nonostante le microsmentite del giorno dopo (domenica scorsa intervistato dalla Nazione ha detto che in realtà vuole continuare a fare il sindaco di Firenze anche per il prossimo mandato) il progetto del gran Rottamatore sembra avere una sua precisa scansione temporale, e una chiara strategia politica. Primo punto: i tempi. Le date da tenere d’occhio per capire meglio le mosse del sindaco sono tre: 28, 29, 30 ottobre. In quei giorni, Renzi presenterà alla stazione Leopolda di Firenze (dove già lo scorso anno organizzò un evento simile con Pippo Civati, che quest’anno non ci sarà per le ragioni che vedremo più avanti) le sue cento proposte per migliorare il paese. Non sarà da solo: con lui ci sarà un altro Matteo (Matteo Richetti, 37enne presidente del Consiglio della regione Emilia Romagna) e soprattutto una dozzina di amministratori locali – alcuni già affermati e altri ben posizionati sulle proprie rispettive rampe di lancio. Tra questi, possiamo dire che i nomi più conosciuti sono principalmente quattro: Federico Berruti, sindaco di Savona; Andrea Ballarè, sindaco di Novara; Marco Vinicio Guasticchi, presidente della provincia di Perugia; e Davide Faraone, capogruppo in Consiglio comunale a Palermo e aspirante sindaco della città che a fine anno parteciperà a quelle primarie palermitane che in un certo senso saranno il primo terreno su cui i Rottamatori si peseranno prima delle vere primarie per la selezione del candidato premier. Ecco: questo per quanto riguarda i tempi. Poi, però, c’è tutto il progetto al quale sta lavorando il sindaco di Firenze. Un progetto che, se ci si pensa bene, presenta punti di contatto anche con la vincente campagna elettorale adottata quattro anni fa dall’ex sindaco di Roma Walter Veltroni durante i mesi che precedettero la sua elezione alla segreteria del Pd. E proprio come Veltroni, Renzi ha capito che il modo migliore per costruire un rapporto con l’elettorato del centrosinistra è quello di puntare forte sul modello “sindaco d’Italia”. Solo che a differenza dell’ex sindaco di Roma Renzi sembra abbia intenzione di proporre come modello di governabilità non solo la sua esperienza al comune ma anche quella di tutti gli amministratori (non tutti giovani) che nelle loro realtà sono riusciti a dare piccole prove concrete di nuovi esempi di leadership reali. Il network a cui Renzi nei prossimi mesi proverà a dare ancora continuità è stato creato dal sindaco anche sfruttando la rete di relazioni creatasi negli ultimi mesi durante le centinaia di presentazioni del suo ultimo libro (“Fuori”, per l’appunto): presentazioni fatte non a caso in tutte le regioni e le principali città d’Italia (chiedere a Marco Agnoletti, portavoce di Renzi, il numero di Moleskine riempite con i nomi di giovani amministratori che hanno chiesto di far parte della rete del sindaco di Firenze). Certo, è vero: Renzi, nonostante l’intervista a Repubblica, continua a dire di augurarsi di trovare qualcuno, “magari una donna”, che quando sarà si possa candidare al posto suo, ma il destino del sindaco sembra essere ormai segnato, e sarà difficile non leggere il suo nome tra i candidati premier del centrosinistra per le prossime elezioni. Ah, già: le primarie. Come ricordato, diciamo così, con schiettezza due giorni fa dal presidente del Pd Rosy Bindi in realtà lo statuto del partito parla chiaro: qualora ci dovessero essere delle primarie per selezionare il candidato premier del centrosinistra, il candidato naturale del Pd è solo e soltanto il suo segretario, e se qualcuno del Pd ha intenzione di candidarsi come premier ha solo una semplice e ovvia soluzione: uscire dal partito. E’ vero: al momento le cose stanno così nel Pd ma in molti sono convinti che da qui alle primarie sarà possibile modificare lo statuto in modo da permettere a chi nel partito ha intenzione di sfidare Bersani di candidarsi insieme con l’attuale segretario alla premiership del centrosinistra. E proprio questa possibilità, ovvero la chance per altri democratici di mettere alla prova le proprie aspirazioni di leadership, potrebbe incoraggiare molti volti emergenti del Pd a fare un passo in avanti, e vedere un po’ l’effetto che fa.

Zingarettiani. Dalla parte opposta rispetto all’universo renziano si trova il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti. Sappiamo tutti che nell’orizzonte politico dell’ultimo segretario della Fgci italiana (eh già) al momento non vi è altro obiettivo che non sia quello della candidatura al Campidoglio. Ma da qui alla prossima elezione del sindaco di Roma (2013) Zingaretti sa che può succedere qualsiasi cosa e che se per una ragione o per un’altra all’interno del partito dovesse accendersi il fuoco del ricambio generazionale il nome che verrebbe proposto da ogni luogo del Pd per domare le fiamme sarebbe quello del presidente della provincia di Roma. E anche se a gettare la famosa acqua sul fuoco della questione ricambio generazionale è da sempre lo stesso Zingaretti (che anche quattro giorni fa, durante il seminario “Rinnovare l’Italia, rinnovare il Pd” organizzato a Pesaro dal presidente della provincia Matteo Ricci, altro tipetto da seguire, ha detto che nel Pd il leader c’è e si chiama Bersani), in realtà le cose sono meno lineari di quello che si potrebbe credere (vedi anche le passeggiate romane in fondo alla pagina). E per quanto Zingaretti sia bravo a non dare mai a nessun osservatore la possibilità di metterlo di fatto contro il segretario, la verità è che il presidente sta valutando con attenzione le continue richieste che gli arrivano quotidianamente dall’esterno e dall’interno del partito di giocarsi quanto prima le sue carte a livello nazionale – evitando magari di fare la stessa fine che hanno fatto gli ultimi due sindaci democratici di Roma (Rutelli e Veltroni) che come tutti sappiamo dopo l’esperienza in Campidoglio hanno tentato di raggiungere Palazzo Chigi con risultati non proprio eccezionali. A prescindere però da quale siano le intenzioni di Zingaretti (che nel frattempo si è fatto il suo think tank, la sua rete di rapporti con l’establishment, la sua bella rete di relazioni con il mondo cattolico, e la sua bella partecipazione al Meeting di Comunione e liberazione) una cosa è certa ed è che il presidente ha scelto da tempo di farsi promotore di una sorta di terza via democratica, finalizzata scientificamente a dare agli elettori del centrosinistra l’idea che nel Pd esiste anche qualcuno capace di pensare al futuro con uno stile diverso sia da quello troppo “polveroso” adottato dalle vecchie glorie del partito sia da quello troppo “arrogante” adottato dagli aedi della rottamazione. Al contrario di Renzi – al quale Zingaretti si riferiva a Pesaro quando si augurava che il Pd riesca a non farsi conteggiare dal germe del “leaderismo” – il presidente della provincia di Roma non ha una sua rete di amministratori a lui legati ma ha senz’altro attorno a sè una fitta rete di correnti giovanili che vedono in lui il vero leader del futuro e che non perdono occasione per invitarlo alle loro manifestazioni e di sussurrargli nell’orecchio quella frase che “Nicola” si sente ripetere ormai da parecchi mesi: “Dai Nick, è la tua occasione, provaci, è arrivato il momento di buttarsi”. E ogni volta che Nicola si sente fare questo ragionamento lui, con un sorriso, risponde sempre allo stesso modo: “Buttarmi? Oh: ma perché? Vuoi mica che io mi faccia del male?”. E tra un sorriso e l’altro intanto Nicola continua a essere il politico più corteggiato in Italia dagli altri protagonisti della primavera democratica.

Civati e gli altri. Il prossimo, per esempio, ad aver invitato a un importante incontro il presidente della provincia di Roma è Pippo Civati, consigliere regionale della Lombardia, che dopo una coabitazione di circa un anno con Matteo Renzi nel mondo dei Rottamatori (poi i due hanno litigato, Renzi non ha apprezzato l’eccessivo protagonismo di Civati, Civati non ha apprezzato l’eccessivo protagonismo di Renzi, e alla fine, nonostante alcuni appelli comparsi recentemente sulla rete, come quello di Luca Sofri sul suo blog, le strade dei due rottamatori si sono divise) ha raccolto le forze, ha coinvolto una ventina di ragazzi in gamba del Pd e ha deciso di farsi la sua “Leopolda”, il suo nuovo “Lingotto”, a metà ottobre a Bologna. Con lui ci sarà il vicepresidente del Pd Ivan Scalfarotto, l’europarlamentare Debora Serracchiani e molti altri ragazzi che negli ultimi anni hanno partecipato a vario titolo sia al famoso raduno a Piombino dei giovani democratici (2009) sia all’esperienza dei Mille (gruppo nato nel 2007 che ha contribuito ad animare due anni fa la mozione di Ignazio Marino).

La caratteristica dei civatiani è certamente il loro essere dei leader “mediasmatici” (abili cioè a mettere insieme una buona dose di talento mediatico e una buona dose di spirito carismatico) e il loro essere senz’altro i più attivi nel mondo della rete (hanno tutti un blog, sono tutti su Facebook, usano Twitter con intelligenza e forse anche per questo i loro antipatizzanti poco alfabetizzati a livello tecnologico dicono spesso con scarsa originalità che questi “so’ politici più virtuali che reali, oh”). Dal punto di vista politico, i civatiani hanno come scopo quello di offrire al Pd le giuste cartucce per non farsi troppo rosicchiare il fianco sinistro dai vari Nichi Vendola (e dunque bene lo sciopero della Cgil, male le aperture del Pd sull’articolo 18, e malissimo il marchionismo di Renzi); ma anche quello di riuscire a dare una rappresentanza concreta a tutti “gli indignados d’Italia”: a quella fetta cioè di elettorato non di destra che non riuscendo a sentirsi rappresentato dal centrosinistra spesso finisce per offrirsi a chi periodicamente riesce a dare meglio degli altri uno sfogo al famoso voto di protesta. Naturalmente, non è un caso che la data (non ancora ufficiale però) scelta per la manifestazione di Bologna (patria, tra l’altro, dei grillini: 9 per cento alle ultime comunali) coincida con il giorno scelto dagli indignados degli altri paesi per mobilitarsi in tutta Europa: il 15 ottobre.

I carrozzieri. Nonostante sia Zingaretti sia molti civatiani si siano ritrovati insieme sabato scorso a Pesaro per discutere di come rinnovare l’Italia rinnovando il Pd, i cosiddetti carrozzieri anti rottamatori del Partito democratico rappresentano una realtà che offre delle sfumature diverse rispetto alle altre comunità che abbiamo appena descritto. Molti dei loro nomi – Andrea Orlando, Stefano Esposito, Emanuele Fiano, Sandro Gozi, Vinicio Peluffo, Antonio Misiani, Francesco Boccia, Silvia Velo – i lettori del Foglio hanno imparato a conoscerli negli ultimi mesi in due occasioni in particolare: quando un anno fa Andrea Orlando (responsabile Giustizia del Pd) presentò sulle colonne di questo giornale la sua proposta per riformare la Giustizia con la maggioranza (proposta subito appoggiata dai quarantenni del Pd) e quando alcuni giorni fa – sempre sul Foglio – abbiamo raccontato del documento scritto e firmato da alcuni deputati quarantenni del Pd critico con lo sciopero indetto per oggi dalla Cgil. Certo: i carrozzieri sono forse i meno strutturati all’interno della primavera democratica ma allo stesso tempo sono anche quelli che da più tempo si muovono di concerto sia per farsi trovare preparati qualora nel Pd dovessero presentarsi le condizioni per offrire delle risposte concrete sul tema del ricambio generazionale sia – quando sarà – per dare il proprio appoggio a un giovane leader che abbia intenzione di vedere il famoso “effetto che fa”. I carrozzieri – che costituiscono una primavera un po’ particolare non solo perché sono l’unica selezione giovanile del Pd ad avere un allenatore che li coordina, Daniele Marantelli, ma anche perché sono i giovani meno giovani tra i più giovani del partito: zero trentenni, tutti sugli anta, con qualcuno molto vicino ai cinquanta – si muovono con l’idea di imporre dal basso le giuste risposte da dare in ambito di politiche riformiste e spesso lo fanno in modo se non opposto almeno dialettico con le posizioni espresse del segretario e dai suoi corazzieri (vedi più avanti). E’ andata così negli ultimi mesi per quanto riguarda le scelte dal Pd sul modello Marchionne (che i carrozzieri apprezzano), sulle proteste anti Tav (prima ancora di Bersani sono stati loro a condannare il giustificazionismo di Vendola di fronte alle violenze anti Tav) e sta andando così in questi giorni anche sulle firme che al contrario di Bersani i carrozzieri stanno raccogliendo per riproporre in Italia il vecchio Mattarellum. A differenza delle altre correnti di pensiero delle giovanili del Pd, però, i carrozzieri sono consapevoli più degli altri che facendo sempre più in fretta l’orologio tic-tac-tic-tac se non si danno una mossa il rischio è che ci sia presto qualcuno più giovane che si ritrovi a gestire al posto loro la fase del ricambio generazionale. Il loro leader? Certamente Nicola Zingaretti. I loro antagonisti? I rottamatori, certo, ma anche quel gruppetto di giovani dirigenti del Pd che un anno fa si allontanarono da questi quarantenni scegliendo di seguire un’altra strada: più simile a quella dei corazzieri che dei tradizionali carrozzieri. Corazzieri, sì: nel senso di vere e proprie scorte del segretario del Pd. E d’altronde non potrebbe essere altrimenti dato che molti ragazzi che fanno parte di questa altra piccola corrente di pensiero sono i giovani a cui ha dato più spazio Bersani durante i suoi primi mesi alla guida del Pd: i Matteo Orfini, gli Stefano Fassina, i Matteo Mauri, i Nico Stumpo, i Roberto Gualtieri e molti altri trenta-quarantenni (a dire il vero molto dalemiani) che un anno fa provarono a organizzarsi anche in modo strutturato (ricordate i giovani turchi?) e grazie ai quali il segretario del Pd può dire senza avere del tutto torto di aver già dato vita al ricambio generazionale all’interno del partito. Chi non li ama nel Pd dice che i corazzieri sono troppo legati a esperienze correntizie per essere liberi di dare delle risposte autonome nell’ambito del ricambio generazionale. Giusta o sbagliata che sia la valutazione non c’è dubbio però che tra i giovani protagonisti della primavera democratica sono loro quelli meno intenzionati a lavorare per un rapido ricambio della leadership. E nel Pd, con malizia, qualcuno dice che non sia un caso che siano proprio i corazzieri a sponsorizzare fortissimamente la candidatura di Zingaretti alle primarie di Roma: hai visto mai che a Nicola gli saltasse in testa di lanciare come Renzi la sfida sia alle vecchie glorie del Pd sia naturalmente al loro amato segretario.

di Claudio Cerasa
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