La riforma delle #banche di #credito #cooperativo: un provvedimento storico
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Il provvedimento, approvato dalla Camera e che ora passa al vaglio del Senato, prevede che l’esercizio dell’attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo sia consentito solo alle BCC appartenenti un gruppo bancario cooperativo che abbia come capogruppo una società per azioni con un patrimonio non inferiore ad 1 miliardo di euro. L’adesione ad un gruppo di questo tipo diventa dunque la condizione per il rilascio, da parte della Banca d’Italia, dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo. Per favorire la patrimonializzazione delle singole BCC e rafforzare il legame con i soci, il valore nominale massimo della partecipazione detenibile da ciascun socio viene peraltro innalzato dagli attuali 50 mila a 100 mila euro, mentre il numero minimo dei soci viene portato da 200 a 500. Da sottolineare che la maggioranza del capitale della capogruppo dovrà essere detenuta dalle stesse BCC del gruppo, mentre il resto potrà essere detenuto da soggetti omologhi (gruppi cooperativi bancari europei, fondazioni) o essere destinato al mercato dei capitali. Per contribuire al rafforzamento delle BCC è consentita la sottoscrizione delle azioni di finanziamento (di cui all’art. 2526 del Codice Civile) anche da parte della capogruppo e non necessariamente in situazioni di inadeguatezza patrimoniale o di amministrazione straordinaria. Da sottolineare anche che attraverso un emendamento presentato dall’esponente del PD e relatore Giovanni Sanga viene affidata al Ministero dell’Economia e Finanze la facoltà di prevedere per esigenze di stabilità del sistema, sentita la Banca d’Italia e con proprio decreto, una soglia minima di partecipazione delle BCC al capitale della società capogruppo anche inferiore al 51 per cento fissato dal decreto. Alla società capogruppo è affidato, più in generale, il compito di svolgere un’attività di direzione e di coordinamento delle BCC sulla base di accordi contrattuali denominati “contratti di coesione”, che indicano appunto i poteri di direzione e di coordinamento della capogruppo nei confronti delle diverse banche. Questi poteri saranno più o meno intensi e stringenti in base al grado di “rischiosità” della singola banca (misurato sulla base di parametri individuati in modo oggettivo), alla necessità di assicurare il raggiungimento dei requisiti o dei benefici prudenziali cui il gruppo è soggetto e comunque alla necessità di rispettare la normativa bancaria vigente, con particolare riferimento agli elevati standard patrimoniali, finanziari e 4 contabili. Dunque, quanto più una banca si dimostrerà solida, efficiente e dotata di una governance trasparente, tanto più saranno ampi i suoi margini di autonomia. A proposito dei poteri della società capogruppo, il dibattito in Commissione Finanze della Camera si è concluso con l’assegnazione a quest’ultima della possibilità, in casi motivati, di nominare, opporsi alla nomina o revocare uno o più componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società aderenti al gruppo. Da osservare come la banca che intende assumere il ruolo di capogruppo sia tenuta a trasmettere la relativa comunicazione alla Banca d’Italia entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione della stessa Banca d’Italia. Il contratto di coesione dovrà essere stipulato entro 90 mesi dalla conclusione degli accertamenti di Bankitalia, mentre 60 sono i mesi previsti dall’entrata in vigore della legge per l’adeguamento da parte delle BCC al nuovo numero minimo di soci. Le BCC che hanno aderito ad un gruppo bancario cooperativo potranno altresì recedere dal contratto di coesione decidendo se liquidare il proprio patrimonio o trasformarsi in Spa cedendo le riserve. Al fine di tener conto delle specificità territoriali del Paese e dell’arricchimento che esse potranno fornire al gruppo cooperativo, è stata introdotta la possibilità di costituire sottogruppi territoriali facenti capo a una banca costituita in forma Spa sottoposta a direzione e coordinamento della capogruppo; per quanto concerne la salvaguardia delle peculiarità linguistiche e culturali delle BCC aventi sede legale nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome, è stato previsto che il Ministero dell’economia e finanze individui modalità e criteri per assicurarne il riconoscimento e la salvaguardia. Da ricordare anche che è stata prevista per le sole BCC presenti nelle Province autonome di Trento e Bolzano la possibilità di costituire autonomi gruppi cooperativi, composti rispettivamente da banche aventi sede e operanti nella medesima Provincia autonoma, con l’obiettivo di tutelare l’unicum costituito dal sistema delle Raiffeisen. Al termine del confronto in Commissione Finanze della Camera, si è anche stabilito di creare, come chiesto anche da Federcasse, un Fondo temporaneo mutualisticoassicurativo durante la fase di costituzione dei gruppi bancari cooperativi, promosso dall’Associazione nazionale del credito cooperativo, per favorire i processi di consolidamento e concentrazione delle BCC. Gli impegni di questo Fondo verranno assunti, una volta che si sarà costituita, dalla capogruppo. Il dibattito più ampio e articolato, già all’indomani della presentazione del decreto da parte del Governo e poi in sede di esame in Commissione, si è svolto attorno alla cosiddetta way out, e cioè alla “via d’uscita” prevista per le banche di credito cooperativo che non vogliano aderire ad un gruppo bancario così come appena descritto. Al termine di un confronto che si è sviluppato non solo tra le singole forze politiche ma anche al loro interno, grazie alle proposte di riformulazione presentate dal relatore Sanga che, accogliendo le modifiche sollevate attraverso numerosi emendamenti, costituiscono il frutto di una riflessione approfondita e condivisa, si è stabilito che la possibilità di non aderire venga concessa alle BCC che entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (un tempo ristretto, a significare un passo che non può essere improvvisato ma utilizzato solo da soggetti già strutturati per poterlo fare) presentino istanza, anche congiunta, alla Banca d’Italia, di conferimento delle rispettive aziende bancarie ad una medesima Spa. 5 Si tratta, dunque, non più di una trasformazione diretta in Spa, ma di uno “scorporo” dell’attività bancaria che dovrà avvenire con la vigilanza della stessa Banca d’Italia e purché la banca istante o una delle banche istanti posseggano alla data del 31 dicembre 2015 (nel testo originario mancava un’indicazione temporale simile) un patrimonio netto di 200 milioni, come risultante dal bilancio e senza che il revisore contabile abbia espresso alcun rilievo in proposito. Dunque anche le banche più piccole potranno avvalersi della way out, ma solo congiuntamente ad una BCC che abbia appunto un patrimonio netto superiore a 200 milioni (a giugno 2015 queste erano 14 e rappresentavano circa il 21 per cento degli attivi della categoria, mentre quelle con un patrimonio netto tra 100 e 200 milioni erano 28 e rappresentavano il 18 per cento degli attivi). Altra condizione vincolante è che al momento del conferimento la BCC conferente dovrà versare all’erario una quota del 20 per cento del patrimonio netto (e non più, come previsto inizialmente, delle riserve, facendo salvo quindi il principio della loro indivisibilità), considerato sempre alla data del 31 dicembre 2015. In definitiva, a seguito del conferimento, la cooperativa interessata da una parte modifica il proprio oggetto sociale per escludere l’attività bancaria e dall’altra mantiene le riserve indivisibili (al netto del versamento effettuato allo Stato), mantenendo finalità mutualistiche e impegnandosi ad assicurare ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la Spa conferitaria, di formazione e informazione sui temi del risparmio e di promozione di programmi di assistenza. L’attività della cooperativa conferente sarà in tal senso oggetto di verifiche.
Le altre misure contenute nel decreto
Il decreto-legge contiene anche altre misure per favorire la stabilità e la solidità del sistema creditizio, a cominciare dalle norme volte a definire un meccanismo per smaltire i crediti in sofferenza presenti nei bilanci bancari mediante la concessione di garanzie dello Stato nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione. Da sottolineare, poi, le disposizioni fiscali relative alle procedure di crisi: si stabilisce l’irrilevanza fiscale dei contributi volontari percepiti da soggetti sottoposti a procedure di crisi e che la cessione di diritti, attività e passività da parte di un ente sottoposto a risoluzione a un ente ponte non costituisce realizzo di plusvalenze o minusvalenze ai fini Ires e Irap. Per favorire un celere recupero dei crediti, viene agevolata la vendita di immobili in esito a procedure esecutive, prevedendo una netta riduzione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, da versare nella misura fissa di 200 euro ciascuna (anziché del 9% per valore di assegnazione); l’acquirente gode di tale imposizione agevolata a determinate condizioni: se svolge attività d’impresa e rivende l’immobile entro due anni (pena la restituzione delle imposte nella misura ordinaria, una sanzione e gli interessi di mora), come previsto nel testo originario; se non svolge attività d’impresa e possiede i requisiti dell’applicazione delle agevolazioni “prima casa”, a seguito di un’estensione introdotta da un emendamento del relatore. In materia di gestione collettiva del risparmio e al fine di ampliare i canali di finanziamento alle imprese alternativi al sistema bancario, si estende la possibilità 6 per i fondi di investimento alternativi istituiti in Italia o in un altro Stato membro UE di investire in crediti a favore di soggetti diversi dai consumatori. Grazie a un emendamento del PD, presentato da Sergio Boccadutri, è stato poi introdotto un articolo in materia di anatocismo (la contabilizzazione degli interessi sugli interessi per conti correnti, conti di pagamento e finanziamenti a valere sulle carte di credito), con cui si stabilisce definitivamente che la maturazione degli interessi non potrà essere inferiore ad un anno (escludendo la pratica trimestrale e semestrale), che gli interessi debitori a carico del cliente non saranno esigibili prima di 60 giorni e non più immediatamente, mentre gli interessi creditori (quelli a favore del correntista) saranno immediatamente disponibili. Si tratta di un passo in avanti notevole: è una norma che rende più agevole l’attuazione del divieto di anatocismo, ponendo fine alla scarsa chiarezza e limitando quindi il contenzioso legale. L’approvazione di un emendamento del relatore, infine, consentirà di ottenere lo sconto del 30 per cento sulle multe anche a chi non paga in contanti o via conto corrente postale e anche se il pagamento arriverà fino a due giorni dopo la scadenza dei cinque giorni previsti; si tratta di una modifica resasi necessaria dopo una interpretazione della norma sullo sconto che considerava la validità della data in cui il pagamento veniva accreditato all’ente e non quella del pagamento, e che sanerà la posizione di decine di migliaia di soggetti in buona fede che si sono visti chiedere dai Comuni la sanzione intera perché l’accredito era arrivato oltre i cinque giorni.