Lavoro. Sui precari, nel Pd “guerra” a colpi di documenti
Per combattere la precarietà, è meglio la flexsecurity o la riduzione delle tasse sul lavoro?
E il sindacato, tutela al meglio i contratti a tempo determinato? Nel giorno in cui il ministro Renato Brunetta veniva sommerso dalla protesta dei precari italiani, il Pd cerca la sintesi sulla disciplina dei contratti di lavoro, con Ichino (e Veltroni) contro la maggioranza del partito. Avviene alla vigilia della conferenza nazionale, che il Partito terrà a Genova domani e dopodomani (17 e 18 giugno)
Appuntamento a Genova. Seicento delegati da tutta Italia, oltre a un nutrito gruppo di parlamentari ed esperti, si ritroveranno a discutere di lavoro a partire dal documento messo a punto dal dipartimento economia, coordinato da Stefano Fassina. Un parterre, come si dice, d’eccezione: dalla segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati, Bernadette Se’gol, ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, al segretario dell’Ugl, Giovanni Centrella, Marco Calvetto delle Acli. Per le imprese parteciperanno Cristiana Coppola e Giampaolo Galli della Confindustria, Giorgio Guerrini di Rete Imprese, Giuliano Poletti per l’Alleanza delle Cooperative, Claudio Siciliotti per l’ordine dei commercialisti, Giuseppe Lupoi della Colap.
Il testo Fassina, già approvato dalla stragrande maggioranza del Pd in un’assemblea nazionale a Roma e condiviso nelle assemblee territoriali, sarà discusso ed emendato alla luce delle proposte che arrivano dalle conferenze locali e da singole proposte settoriali.
Tra queste quelle contenute in un testo che sembra a tutti gli effetti un contro-documento, visto che è chiaramente alternativo a quello della maggioranza. Lo presenterà il senatore e giuslavorista Pietro Ichino, che in calce ha raccolto firme “pesanti”, anche se numericamente ridotte. In ordine alfabetico: Stefano Ceccanti, Sergio Chiamparino, Maurizio Ferrera, Giampaolo Fogliardi, Paolo Giaretta, Alessandro Maran, Ignazio Marino, Enrico Morando, Magda Negri, Vinicio Peluffo, Simonetta Rubinato, Ivan Scalfarotto, Giorgio Tonini, Salvatore Vassallo, Walter Veltroni.
Nei mesi scorsi, Ichino e Fassina si sono scambiati colpi sotto la cintura, anche a mezzo stampa. E proprio in queste ore, nel Partito avviene un dibattito sotto traccia sul testo Ichino. In molti si chiedono se sia il caso, all’indomani di due vittorie elettorali che fanno segnare “bel tempo” nei rapporti con il Paese, e nel pieno della bufera Brunetta, di portare open air i distinguo interni. Nell’area Marino, ad esempio, la maggioranza degli aderenti non concorda con la presentazione del testo e non lo sosterrà.
Non è detto che alla fine non si trovi un’intesa tra una proposta e l’altra. Ma se così fosse, sarebbe dura, vista la lontananza delle posizioni di partenza.
Per Fassina, infatti, la precarietà ha ben poco a che vedere con l’articolo 18: non si aumentano le tutele ai figli (precari), riducendole ai padri (stabili). I garantiti, come dimostrano gli oltre 200 tavoli di crisi aperti al ministero dello sviluppo, “sono una specie in via di estinzione nel lavoro privato”. Tanto più che “i contratti precari sono enormemente concentrati nelle imprese con meno di 15 dipendenti, ossia le unità produttive fuori dallo Statuto dei Lavoratori”.
Fassina indica nella crescita e nelle riduzione delle tasse sul lavoro, la ricetta per sconfiggere la precarietà. “Per contrastarla- aggiunge- è necessario eliminare i vantaggi di costo di cui oggi godono i contratti precari rispetto a quelli a tempo indeterminato. Noi abbiamo proposto di allineare gli oneri sociali sul lavoro ad un livello intermedio tra quanto oggi previsto per i contratti “standard” e per i contratti “low cost”.
Tale soluzione porta ad una riduzione di costo del lavoro per le imprese, da finanziare attraverso l’innalzamento delle imposte sulle rendite e sui redditi da capitale”.
Il documento Ichino guarda invece a una ridefinizione dei rapporti sulla base di “un nuovo Codice del lavoro semplificato di poche decine di articoli chiari e semplici”. Si tratta di una disciplina applicabile a tutti i nuovi rapporti di lavoro, “superando il dualismo attuale fra protetti e non protetti, e anche quello fra dipendenti delle imprese di dimensioni medio-grandi e dipendenti delle più piccole: tutti a tempo indeterminato (tranne i casi classici di contratto a termine, quali le sostituzioni per malattia o i lavori stagionali), a tutti le protezioni essenziali (in particolare quella contro le discriminazioni). Ma nessuno inamovibile”.
In caso di perdita del posto di lavoro, a tutti verrebbe garantita “una forte garanzia di continuità del reddito e di investimento nella loro professionalità, in funzione della più rapida e migliore ricollocazione”.
Non manca nel documento del giuslavorista un duro attacco al sindacato. “Il nostro sistema delle relazioni industriali- si legge nel testo- è venuto manifestando in modo sempre più evidente un carattere di marcata vischiosità e inconcludenza. Nel regime di “diritto sindacale transitorio” in cui l’Italia si trova da ormai più di 60 anni, si sono affermate regole non scritte in materia di contrattazione collettiva che, nelle situazioni di dissenso insanabile tra i sindacati, generano paralisi”.
Questa paralisi “si rivela perfettamente funzionale a un accordo protezionistico tacito, tendente a chiudere il nostro sistema economico ai piani industriali innovativi, che vede nell’ultimo quarto di secolo una vasta componente trasversale del movimento sindacale fare sponda alla parte più conservatrice dell’imprenditoria italiana; e, sul piano politico, la vecchia sinistra fare sponda alla parte più conservatrice della destra”.