Peluffo: come salvare l’Expo dalla ’ndrangheta
L’otto gennaio scorso il ministro Maroni denunciava «l’irresistibile attrazione della ‘ndrangheta verso Expo». Aveva ragione e gli arresti compiuti la scorsa settimana dalla Dda di Milano e Reggio Calabria lo confermano drammaticamente. L’attività repressiva è un elemento fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata, ma da sola non basta, anche perché nel caso di Expo dal momento che non un singolo cantiere è ancora partito, come ha ricordato la pm Bocassini stiamo «parlando di niente» (la citazione shakespeariana nasce come riflesso condizionato, visto che la vicenda nel centrodestra sembra realmente una commedia).
La domanda è ineludibile: si sta facendo abbastanza sul fronte della prevenzione? Andiamo con ordine.
Per scoprire la presenza della criminalità organizzata a Milano e in Lombardia non sarebbe stato necessario attendere i recenti arresti. La relazione annuale della Dda del capoluogo meneghino parlava già di «penetrazione delle organizzazioni mafiose che non si arresta, anzi sembra accentuarsi, favorita da una maggiore predisposizione degli ambienti amministrativi, economici e finanziari ad avvalersi dei rapporti che si instaurano con l’ambiente criminale. Soprattutto nei settori delle opere pubbliche, dell’edilizia, dei mercati e della circolazione del denaro». Quindi si tratta di un fenomeno in crescita, che si è radicato nel tempo e di cui non si è parlato abbastanza.
Preoccupazione che abbiamo ribadito proprio qualche giorno fa in un incontro con il prefetto di Milano (lo stesso che a febbraio scorso diceva, anche se poi lo rettificava, che non si può parlare di presenza a Milano della mafia in senso stretto). Va da sé che non ci possiamo permettere nessun tentennamento. Ma un altro fronte d’impegno è quello degli strumenti di prevenzione che si mettono in campo. Finora è stata istituita presso la prefettura la sezione specializzata del Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere: avevamo chiesto di fare di più, ma almeno mettiamola nelle condizioni di lavorare efficacemente, aumentando la scarsa dotazione organica finora prevista. Cosa che abbiamo chiesto con un emendamento alla manovra economica.
Altro capitolo su cui è necessario soffermarsi è la tanto decantata white list. Se la dinamica della black list per paradosso è chiara (hai precedenti, non hai le certificazioni, quindi non lavori), la white list è qualcosa di molto più complicato e soprattutto delicato: bisogna individuare criteri di composizione che evitino arbitrii e non ledano il principio di concorrenza del mercato. La strada che si vuole imboccare è quella di un meccanismo per cui le ditte si sottopongono volontariamente a verifiche ulteriori rispetto a quelle previste per legge? Forse serve qualcosa di più, altrimenti diventerebbe solo una sorta di bollino blu. Infine rimane aperta la questione più delicata dell’accesso ai cantieri, il cui controllo, non dimentichiamolo, è elemento essenziale nella lotta alle infiltrazioni mafiose. Intanto bisogna circoscrivere l’area dei subappalti. Vicino all’area dove sorgerà Expo è stato realizzato il polo esterno di Fieramilano attraverso lo strumento del general contractor, che ha funzionato con precisione svizzera sul fronte della certezza dei tempi di realizzazione, meno sul versante del controllo dei subappalti. Mentre fondamentale è un sistema di controllo e di tracciabilità di ogni singolo e di ogni azienda.
Esistono già innovazioni ed esperienze che lo consentono, mettiamole a regime. Il rischio infiltrazioni si batte con la trasparenza. Vale per Expo, vale per tutte le grandi opere.