Vinicio Peluffo: “Puntare su Industria 4.0 per essere competitivi e rilanciare l’economia. Ecco come”

(da TRIBUNA POLITICA WEB)

Vinicio Peluffo, 47 anni, nato a Rho (provincia di Milano), ha iniziato a fare politica molto giovane. Prima nella sinistra giovanile del Pds, dove raggiunge la carica di Presidente occupandosi anche dei giovani socialisti europei. Peluffo ha avuto anche un ruolo importante nel PD durante il periodo della segreteria Veltroni. In parlamento dall’aprile 2008, è membro della commissione permanente Attività Produttive, Commercio e Turismo e della Commissione parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi: in quest’ultima Commissione è stato nominato capogruppo della delegazione del Partito Democratico. Lo abbiamo incontrato agli Stati Generali di Distretto33 dove nel suo intervento ha affrontato i temi legati a Industria 4.0.

Lei da quasi 10 anni fa parte della Commissione Attività Produttive della Camera. In questo periodo cos’è cambiato nell’approccio della politica all’industria?

Nel corso di questo decennio abbiamo avuto la più grave crisi economica dal dopo guerra ad oggi, per cui la Commissione Attività Produttive ha impiegato gran parte della propria attività parlamentare per affrontare sia le grandi crisi aziendali sia la crisi delle filiere che questi soggetti portavano con sé. Dal punto di vista delle politiche industriali abbiamo avuto una prima occasione all’inizio della XVI legislazione (2008/2009), con il tentativo di tornare al programma nucleare, poi fermato dal referendum popolare. Nell’ultimo scorcio della legislatura, sempre sul tema dell’energia c’è stato un tentativo di razionalizzare quello che in Italia è stato il risultato delle stratificazioni legislative, ossia l’enorme investimento sulle rinnovabili. Con le strategie energetiche nazionali possiamo dire che siamo riusciti a costruire un mix funzionale maggiormente razionale.

Però il modello che lei ha presentato nel documento (vedi pdf da scaricare) e che è stato recepito anche in Consiglio dei Ministri guarda allo sviluppo in termini generali. Si ricomincia a parlare di politica industriale?

Direi di sì. Industria 4.0 ha questi due aspetti fondamentali. Il primo è una politica industriale che non si vedeva da tempo, non pensata in modo casuale o a pioggia. Abbiamo voluto puntare sull’utilizzo di risorse importanti per accompagnare il sistema verso questa trasformazione di fondo, del modo di produrre e di investire oltre che di lavorare. Il secondo aspetto riguarda gli strumenti da utilizzare. Industria 2015 è stato uno strumento importante dieci anni fa. Un progetto che prevedeva la presentazione di un programma che doveva essere valutato e quindi poteva ottenere i finanziamenti. Alcune volte ha funzionato, altre volte un imprenditore ha aspettato tre anni per un investimento che però doveva fare in quel momento. Industria 4.0 ribalta completamente quell’approccio. Fai l’investimento, subito e io ti riconosco il 140% del super ammortamento e i 250% con l’iper ammortamento. Hai la convenienza a farlo subito, non devi aspettare. Nel caso poi che tu non sia nelle condizioni di fare l’investimento, abbiamo integrato il fondo nazionale con 700 milioni di euro per la piccola e media impresa, creando le condizioni per un supporto finanziario. Per progetti di questo tipo e per la portata innovativa la comunicazione è importante.

Lei fa parte anche della Commissione Vigilanza Rai. Perché il Governo non fa una campagna di comunicazione seria su questi temi?

Intanto è la prima volta che un pacchetto di norme prevede una cifra, anche se piccola, per promuovere non solo l’approccio in generale, ma un vero e proprio roadshow per andare sul territorio a spiegare non solo gli strumenti ma anche cosa significhi la trasformazione con cui abbiamo a che fare. Questo dà l’idea di quanto sia fondamentale che tutti quanti, le istituzioni, le grandi aziende, le associazioni dei datori di lavoro e i sindacati abbiano consapevolezza della portata dei cambiamenti che Industria 4.0 introduce. Poi c’è un altro aspetto, che è quello che citava lei, il ruolo del servizio pubblico. Questo è l’anno in cui viene rinnovata la concessione tra lo Stato e la Rai. Sono stato nominato relatore di maggioranza sulla convenzione, secondo me tra gli obiettivi dobbiamo inserire alcune cose. La prima: abbiamo già messo nel decreto salva risparmio l’importanza dell’educazione finanziaria previdenziale e assicurativa. La seconda: nel decreto sulla concorrenza si prevede sicuramente una maggior tutela e quindi il completamento della liberalizzazione del settore energia e anche lì abbiamo previsto sensibilizzazione su quelle che sono le opportunità e i rischi per i consumatori. Noi dobbiamo chiedere al servizio pubblico di usare uno strumento potente come la televisione generalista per fare non solo informazione, ma anche per creare cittadini consapevoli. Questa è la discussione che dovremmo fare in Parlamento. Proporrò che nel parere della Commissione Vigilanza si chieda che con il rinnovo della concessione ci siano questi aspetti.

Scuola e formazione, interazione tra scuola e impresa, formazione digitale. Tutti temi centrali per Industria 4.0.

Con il governo Renzi siamo intervenuti sull’infrastruttura scolastica. Nel senso che sono stati rimessi i soldi che erano stati tolti, un miliardo e mezzo di fondi. Abbiamo anche sbloccato le assunzioni che si aspettavano da tempo. Un investimento fondamentale. Indubbiamente il ruolo della scuola non solo è cambiato ma continua a cambiare. Da questo punto di vista oggi è fondamentale una maggiore interazione tra mondo della scuola e dell’impresa. Nella legge di bilancio abbiamo messo un elemento che è passato sotto silenzio: il privilegiare l’alternanza scuola lavoro e i contratti di apprendistato. Da quest’anno non ci sarà più l’incentivo all’assunzione ma l’incentivo all’imprenditore che assume con il contratto di apprendistato. Secondo me iniziative come questa devono stare dentro la stessa cornice che è quella della formazione permanente.

I fuoriusciti dal Pd e anche la minoranza Dem dicono che questo approccio è troppo “vicino all’industria” e che non è un approccio di sinistra. Dicono che vogliono ripartire dalle persone. Secondo lei cosa significa?

Quando diciamo che Industria 4.0 ha una caratteristica che riguarda non solo il prodotto ma il servizio che c’è intorno ad esso, come viene sviluppato il prodotto stesso, in realtà stiamo parlando della creatività, della capacità cognitiva, del potenziale del capitale umano. Stiamo parlando delle persone. Dobbiamo avere la consapevolezza che il nostro Paese, per usare un termine “tecnico”, fa andà i man (utilizza le mani, ndr), è un paese manifatturiero. Siamo in una fase di grandi trasformazioni e dobbiamo riuscire a mantenere le nostre posizioni. In pratica, dobbiamo essere capaci di stare dentro le trasformazioni. Questo implica anche rischi, non solo opportunità. Come pensa sia possibile affrontarli? E’ vero, le trasformazioni di Industria 4.0 rappresentano opportunità, ma non solo. Stare dentro a questi processi vuol dire cercare di diminuire i rischi e ottimizzare le opportunità. Ci sono comunque elementi e aspetti da cambiare. Credo che la concezione stessa del tempo andrà modificandosi, la concezione degli spazi della persona. Il fatto che io lavori in un ambito continuamente connesso significa che devo sempre essere connesso oppure avrò, come lavoratore, la possibilità di ottimizzare la connettività avendo il diritto a disconnettermi per destinare del tempo alla mia famiglia? Sono cose intrecciate fra loro. Non voler guardare le trasformazioni perché ci sono dei rischi, significa subire quelle trasformazioni. Credo che nel guardare le trasformazioni ci sia la possibilità di riuscire a diminuire la parte di rischio che esiste.

In fondo in lei c’è un’anima liberale?

Vengo da una storia politica lunga. Sono “antico” come partecipazione alla politica. Mi sono iscritto giovanissimo al Partito Comunista Italiano che è stato una straordinaria avventura formativa, un’adesione a una comunità umana ricchissima che mi ha formato e insegnato tanto. Personalmente sono sempre stato affascinato dall’esperienza del Socialismo liberale nel nostro Paese che per me rappresenta la più feconda matrice culturale. Voglio ricordare che anni dopo, con Walter Veltroni segretario dei Ds, il Congresso del Lingotto era imperniato su quella visione. Credo che ancora oggi questa prospettiva ci consenta di decifrare quello che ci succede e di tenere in piedi un’iniziativa politica.

di Dario Tiengo